…si continua con gli articoli della categoria Musica dal vecchio blog.
A volte la musica rock trova sbocchi nella poesia. Non solo per i testi ovviamente, ma proprio per un attitudine “poetica” nei modi di fare musica. Ecco dunque il secondo atto dello spettacolo Neve Ridens [Mescal], opera (poetica) di Marco Parente. Dieci le tracce e quaranta i minuti di durata. Il primo Neve Ridens, (con la parola Ridens cancellata) era uscito il 9 settembre 2005 [v. intervista su Carta n.31/2005]. Il secondo è uscito lo scorso 24 febbraio e ha per titolo Neve Ridens (stavolta ad essere cancellata è la parola neve). Da qui inizia il sentiero innevato. Dalla «Neve», traccia che apre il disco con più di un minuto di silenziosissimo rumore. Rumore della neve forse: “Oggi non ho il coraggio di ascoltare la neve che cade”. I due album sono intrecciati, legati ad un cordone ombelicale che li attrae e li respinge, come una molla impaziente. Nella title-track «Neve Ridens» canta: “Non so se è la neve che è fuori / o il cotone che ho dentro”. In «Trilogia del sorriso animale: I e II sorriso» “Guardo la neve cadere / e una iena sorridere”. E la musica? E’ la solita (che bella la noia certe volte) magia a cui Parente da anni ci abitua. Trame di chitarre graffianti su ritmi che nascono dalla pancia, potenti all’occorrenza implosivi se necessario. Traiettorie vocali spiazzanti. Ovattate atmosfere dense di microscopici movimenti sonori. Pianoforti e orchestrazioni. Architetture rock, con un abbondante imbiancata di poesia al gusto gelido della neve.
Colonna interamente dedicata al jazz questa settimana. Tre dischi, anzi quattro perché il primo è un doppio, che suonano e profumano a meraviglia. Andiamo con ordine. La raccolta “The Kings Of Jazz” [Rapster/BBE] è deliziosamente curata e compilata da Gilles Peterson (famoso dj che cura programmi di tendenza su BBC ONE, radio inglese per eccellenza) e dai Jazzanova (team di musicisti e dj tedeschi che molto hanno fatto e stanno facendo a favore del “nuovo jazz”). Il primo cd si muove attraverso il passato riproponendo repertori pochi conosciuti di artisti molto conosciuti come John Coltrane, Art Blakey, Charles Mingus e Bill Evans. Di queste prime 10 tracce ci piace sottolinea Fire Waltz di Eric Dolphy, 13 minuti di “puro jazz” in cui perdersi è d’obbligo, ritrovarsi un optional. Il secondo guarda al futuro con i suoni del presente e quindi ecco risplendere i 4Hero, Matthew Herbert, Innerzone Orchestra e tanti altri che in questi anni stanno dando lustro al dio jazz con contaminazioni ed innovazioni.
Di matrice più soft e “scansonata” l’atmosfera che ci regalano i Twinset con Lifestyle[Fante Records]. I nostri tre suonano con una batteria (Paul K. Hoskin) un organo e un sax (suonati dai due gemelli Christopher e Daniel Yeabsley). La miscela esplosiva è a base di swing, bossa e bogaloo, di movimenti “stilosi”, di jazz da club con tanto di alcolico proibito e fumo nebbioso da sigarette bruciate e imbrattate di rossetto.
Chiudiamo con Ed Motta, brasiliano eccentrico che con Aystelum [Ether] al jazz frulla (con maestria e divertimento) il funky e soprattutto le soronità della sua terra come nella bellissima Pharmacias. Alzi la mano chi riuscirà a star fermo ascoltando queste note.
Senza tanti giri di parole: ci sono voluti quattro ascolti affinché iniziassi a digerire questo nuovo disco di Pacifico. Non voleva proprio entrare nelle mie corde. Avevo quasi gettato la spugna. Poi un ascolto distratto al mattino, preso da altre cose. Ho deciso di fare altro e di tenere lì quel disco suonare. A margine di quella mattinata. L’ho chiaramente riascoltato più volte. Ed eccomi a scriverne, perché Pacifico, in arte Gino De Crescenzo ha composto un bel disco leggero, degno di nota. Una leggerezza a volte necessaria, in bilico tra una canzone da autore e smottamenti pop, che si poggia sulle cose senza modificarle, come ne “L’inverno trascorre” dove gli archi evocano e i testi materializzano: “L’inverno trascorre trattenendo il fiato / delle tue vecchie cose dimmi cosa è restato. Il tuo vecchio orologio non si è ancora fermato?”. A volte criptico come ne “L’incompiuto”: “L’esperienza! Giunti in fondo la risposta è illuminata: dopo mille e più ascalini parte un’altra scarpinata” altre impressionista (“Dal Giardino Tropicale”): “Le barche sulla sabbia sparse alla rinfusa svogliate e capovolte al sole, sul fianco il nome di una donna cara al pescatore”. I testi ben si amalgamano con le musiche, architetture lineari che non presentano spigoli e curve improvvise, ma prove delicate, sfumature appena accennate. Come già detto: mai troppo colte e mai troppo facili. E’ forse questo il segreto di Pacifico, non schierarsi, non sbilanciarsi verso l’alto né tanto meno verso il basso.
Con After Dark, My Sweet i Julie’s Haircut giungono al quarto album della loro carriera. I suoni sono più maturi e più presente è una certa influenza psichedelica. L’educazione rimane comunque “rockettara-indipendente”, ma il risultato è profondo, compiuto. Sono già in giro per l’Italia e probabilmente il loro tour li porterà all’estero.
Come è nato questo lavoro?
Laura: Rispetto al passato questo ultimo disco è nato quasi esclusivamente da improvvisazioni in studio. Per questo il nuovo album è meno legato alla classica forma-canzone. Per noi è stato un nuovo modo di lavorare.
C’è stato anche un “taglia e cuci” al computer…
Luca: In realtà il lavoro a computer è stato piuttosto limitato, nel senso che i pezzi nascono effettivamente da session registrate in presa diretta, suonando tutti assieme. Il cosiddetto “taglia e cuci” in realtà è stato utilizzato solo per editare le lunghe riprese dal vivo. Dal vivo viene assolutamente naturale suonare questi pezzi assecondando l’emotività del momento.
Le canzoni con testi sono solo tre. Come decidete se su una traccia ci vuole il testo oppure no?
Nicola: In effetti, in passato, eravamo abituati a scrivere canzoni in modo più classico. Ora, nascendo i nuovi pezzi da improvvisazioni, è ovvio che la voce viene trattata alla stregua degli altri strumenti. Quindi decidiamo se utilizzarla o meno a seconda delle necessità del caso, come potremmo decidere di utilizzare una chitarra acustica piuttosto di un pianoforte.
Oltre a suonare vi arrangiate in qualche altro modo o fate i musicisti a tempo pieno?
Laura: Non è possibile in Italia per un gruppo come noi vivere di sola musica.
Luca: C’è secondo me un po’ questa idea errata diffusa nell’ambiente musicale secondo la quale il lavoro extra-musicale in qualche modo sarebbe “volgare”. Noi invece siamo stati educati ad una concezione dignitosa del lavoro, per questo dividerci tra musica e mestiere non ci disturba. Inoltre c’è un aspetto curioso in tutto ciò, necessità diventa davvero virtù, perché non dovere dipendere dalla nostra musica per mantenerci fa sì che ci possiamo permettere di fare musica in maniera totalmente libera da condizionamenti di qualsiasi tipo.
Quanti anni avete? Una media…
Laura: Abbiamo calcolato: 32,67.
Luca: Sì, però Laura alza la media in maniera drastica, anche se non si direbbe.
Suonerete anche all’estero?
Scarfo: Ci hanno chiesto di andare a un festival a Los Angeles a luglio, logisticamente non è semplice, ma non è detto che non si vada…
Che ne pensate dell’Italia in cui vivete?
Luca: Non un gran bene. E’ difficile anche pensare che le prossime elezioni possano cambiare davvero qualcosa, sembra proprio che il nostro paese sia incapace di trovare una direzione precisa, inesorabilmente legato a un centrismo che alla fine lo paralizza. Provo dolore nel vedere che tantissimi miei amici hanno deciso di emigrare, di andare a vivere all’estero perché là trovano opportunità e soprattutto una società civile degna di questo nome.
Un po’ poetessa maledetta un po’ cantante. “Un po’” non guasta mai a volte, specialmente se l’alchimia è ben calibrata. Ursula Rucker con Ma’at Mama[!K7] è arrivata al suo terzo album con tanto da dire e tanto da far ascoltare. La pozione è a base di cantato/rappato recitato come versi dal pulpito della strada, dal pulpito della sua anima. La musica oscilla tra estremi hip-hop e punture funk e jazz. Vibra sotto i colpi dei bassi spessi o si sospende su fumosi cerchi di un tromba incantata. Cinquantacinque minuti in cui la Rucker sfoggia la sua sensualità sonora (a caso, traccia 9: “Uh Uh”) dimostrando una profondità e uno spessore di buon livello.
Spostando di non molto i gradi del mirino incrociamo il sound system reggae Jah’Licious che di base ha l’Australia, ma nel sangue la Jamaica.
Delayed Behaviour [SugarLicks] è il loro primo album. Capitanato dalla giovane e carismatica voce di Ms Zoey Scott-Kalyan in arte Blacquereign, il disco non presenta vette qualitative rilevanti. Tuttavia si mantiene in quota sbrodolando, una dopo l’altra, tracce orecchiabili e ben confezionate. Senza sbavature scorre nel lettore e, com’è noto, una cosa tira l’altra e ci scappa pure il balletto in onore del buon vecchio Bob.
Dando un bel giro invece alla roulette di queste segnalazioni troviamo un ispiratissimo Howie Back che di mestiere fa il cantautore. Con quest’album omonimo prodotto dalla label Ever, ritroviamo il piacere di ascoltare canzoni esili e lineari costruite con una chitarra e tanta voglia di suonare. Ne esce fuori un disco pop con ritmiche classiche e melodie vellutate che le canti già al primo ascolto senza che esse risultino mai banali. Semplicità questa volta fa rima con qualità.
Carta – Cantieri sociali
Quello che si apprezza di più di questo album è una sottile linea melodica così pacata e delicata che quasi chiede permesso prima di sprigionarsi e ronzare nelle orecchie così abilmente da farsi canticchiare anche senza conoscerne le parole. Il merito va tutto ad Antony “Ant” Harding ex batterista degli Hfner band inglese del circuito indie. Qui abbandona tutto il suo passato per suonare e comporre tutto il suo presente. Suoi i testi, sua la musica, sua l’interpretazione. C’è lo zampino italiano però dietro questa produzione: esce per la bolognese HomeSleep ed è stato registrato in Italia all’Alpha dept da Giacomo Fiorenza e Francesco Donadello. L’oggetto della discussione sono appunto canzoni morbide, chitarra e voce e qua e là qualche basso e batteria a dar conforto e calore al freddo sprigionato dalla voce di Ant: spigolosa ma familiare, esile ma presente come in Choose Memories. A tratti appare il violino, la tromba, il piano wurtilzer e il rhodes, e il clarinetto che servono ad ovattare a dovere il già candido mondo pop di Ant. A dare quel senso di “impronte sulla neve”, titolo evocativo e assolutamente azzeccato. Così scorrono Up Stincks and go, When your heart break [into many little pieces], In your dream, Change with season, componendo un puzzle emozionale, portandosi dietro un carico di nostalgia che in Haven’t you got anywhere left you can run to?, ad esempio, s’impettisce lasciandosi andare senza mai esplodere ma con la consapevolezza che un giro di chitarra ritmato e ben fatto può certamente aiutare.
Segnalazioni varie e colorate questa settimana. Iniziamo con un po’ di pop e un po’ di rock frullato a giusti dosi. Gomo è un tipo eccentrico e approda in Italia col suo primo album, The best of… che viene prodotto da due giovani e fresche etichette italiane: Santeria e Homesleep. Il suono è leggero, non banale: giri di chitarra morbidi, ritornelli che ti acchiappano con semplicità e qua e là un po’ di sonetti e coretti elettrici ed elettronici. Per intenderci: Beck potrebbe essere stato il suo maestro di musica al conservatorio.
Di matrice più radicale gli italianissimi Appallosa: si erano fatti notare ad ArezzoWave due anni fa, vincendo il premio tra le nuove band. Ora passano alla Urtovox (altra casa di produzione interessante) e firmano il loro secondo lavoro: Non posso stare senza di te. Gli ingredienti restano quelli: assenza di cantato, due bassi, una chitarra e una batteria. Al noise-rock si aggiungo spruzzate di modernità elettronica, che rendono l’ascolto elettrizzato. A volte si balla anche. Incazzati con stile e gustosi! A mischiare le carte un disco difficile da catalogare, per cui non ci proviamo neanche.
Yonderboy, l’autore. Spandid Isolation, il titolo. Mole, l’etichetta che lo ha prodotto e che si distingue per un certo tipo d’elettronica: d’ascolto. Però qui ci si capisce ben poco perché il Nostro è un giocoliere molto abile e ad esempio in Follow Me Home, con una chitarra acustica in primo piano detta i tempi di un pezzo dance che farebbe ballare benissimo George Michael Poi però in Before you snap rallenta i battiti, inserisce un violino ed una voce profonda e trasferisce armi e bagagli a Bristol: ricordate il trip-hop? Stravagante.
Carta – Cantieri sociali
Il nuovo che avanza, in Brasile
Una cartolina da nord-est: mangue-beat, rock’n’rollo, samba-reggae…
Al di là delle note di presentazione che illustrano e tracciano i profili di questa compilation (The New Brazilian Music: Pernabuco -Trama/Audioglobe- ) la cosa da dire in maniera urgente e chiara è che questo disco è bello. Solare come il sole del Brasile è pieno zeppo di colori e immagini “giallo verdi”. Il filo di Arianna che lega le 16 tracce è l’aver, da parte dei musicisti, avuto a che fare con la regione del Pernabuco nel nord est del Brasile. Meno conosciuta rispetto alle regioni di Ryo de Janeiro o di Bhaia, questa zona da anni sforna musiche e musicisti che pian piano stanno, o hanno già acquistato, un certa importanza.
Segnaliamo in ordine sparso: Antonio Nòbrega che unisce atmosfere medievale europee alla ritmica brasiliana. La voce di Izar che si esalta su una mistura di rumba ed elementi elettronici. La follia ritmica di Mestre Ambrosio e la fusione di jazz, blues e andamenti brasiliani di Quinteto Violado. La voce calda di Otto e quella soave di dj Dolores. Chiudiamo (ma avremmo voluto citarli tutti in realtà) con la stravaganza di Cordel de Fogo Encantado che frulla toré, samba de coco, reisado ed embolada. Un disco dunque che ci fa riflettere su dove la nuova scena brasiliana si sta dirigendo, almeno una parte. Una aria di novità, di svecchiamento rispetto ai “padri padroni” del suono brasiliano.
Ad esempio ecco una sfilza di generi musicali che si potranno ascoltare in queste tracce, in rigoroso ordine alfabetico e non di importanza: afoxé, baião, caboclinho, cavalo marinho, ciranda, coco, drum n’ bass, electronica, forró, frevo, funk, hip-hop, maculelê, mangue beat, maracatu de baque solto, maracatu de baque virado, metal, punk rock, rock n’ roll, samba, samba-reggae, xote. Come dire, la visione del mondo attraverso un caleidoscopio musicale, un frullatore verticale che riuscirà a farci impazzire, sognare e divertire. Ciò che trasuda da queste tracce, molte delle quali diversissime tra loro, è la dignità di un popolo, la tristezza e la malinconia unite all’orgoglio. La povertà che sempre presente diventa suono del riscatto, della voglia di potercela fare attraverso quelle note. La speranza, la necessaria speranza di considerare la possibilità di una via di fuga. Sembra di vederle quelle note, suonate su una strada poco asfaltata in una “favelas” del nord-est brasiliano.
Uffa! Ci risiamo. Ecco un disco che non si stacca più, che s’incolla al lettore e macina chilometri. Ci risiamo, perché probabilmente e purtroppo, non godrà del giusto lustro e della giusta gloria (anche in termini di vendita). Una immagine sbiadita, un color seppia a tinte forte. Una chitarra e una voce. La semplicità a volte può trovare strade curve per esplodere. E così sia dunque. Dietro la sigla Song For Ulan si nasconde Pietro de Cristoforo, 30enne napoletano che con rara sensibilità “ringhia alle cose” attraverso la sua musica. Una chitarra e una voce, appunto. Come in “Julie”, dove più che aggiungere si toglie con due accordi carichi di memorie… Now on a morning of April in the daylight she’s free. Al balletto partecipano amici e strumenti vari tra cui Cesare Basile (produttore del disco) e Hugo Race (già nella band di Nick Cave), chitarre acustiche e banjo, organi e tastiere, batteria e percussioni. Ed è il sapore tiepido della disperazione ad implodere con fierezza (“You must stay out”), o il prurito folk a tormentare (“The counting song”), o lo shake del rythim ‘n’ blues a strattonare (“Little”). Con “A present”, un walzer acustico allieta, con Secret Fires (dei Gun Club, unica cover del album), lo schiaffo arriva dritto in faccia per stordire e trafiggere quel che resta di un cuore malaticcio. Il disco, cantato interamente in inglese, è un fuoco che brucia e arde. Ma non distrugge. Consola.
Carta – Cantieri sociali
Come festeggiare sessant’anni senza sentirsi “vecchi”? Registrando un disco con una casa discografica brasiliana, la Trama, che guarda al presente e al futuro, senza saudade per il passato. Così Gal Costa si regala e soprattutto ci regala Hoje, che in portoghese vuol dire oggi, disco che si immerge nei suoni (poco tropicali) del presente. Al suo fianco il produttore Cesar Camargo Mariano, un classico, ma anche tanti baldi giovani come, Nun Ramos & Clima, Moisés Santana, Junio Barreto, Moreno Veloso e Tito Bahiense. Ovvero: il nuovo brasile che avanza. Ed questo il fulcro del tutto, la “brasilianità” e la vellutata delicatezza di questa autrice che da oltre trent’anni porta avanti, con la sua voce, un percorso fatto di emozioni. Così in Mar e sol, che apre il disco, riesce a trascinare e a trascinarsi, ad evocare e anche un po’ a materializzarsi. In Jurei e Um Passo à Frente si sbilancia e fa muovere le parti basse con eleganza e stile. In Santana e Locus Pe “funkeggia” un po’, però sempre con buon gusto e a modo. Chitarra, voce e pianoforte in Te adorar ed è un dolce star bene a cui si aggiunge un coretto leggero e una leggera ritmica. C’è anche Veloso padre, il Caetano nazionale che firma Luto. Poca inventiva e molto talento. Come dire: vive di rendita e può permetterselo. La voce di Gal è comunque il faro che illumina, il profumo che seduce, la tristezza che ti consola. Canzone dopo canzone non conosce pause o cadute, debolezze o mancamenti. Apprezzarla è facile, amarla anche.
E’ possibile fare un disco jazz che suoni come il jazz delle origini? Che suoni così bene da far venire i brividi? E’ possibile tutto ciò nel settembre 2005? Può essere, e non è una personale esagerazione di scrive (che ha, bisogna ammetterlo, un debole per queste sonorità), ma è ciò che accadrà a chi ascolterà Spirituals. Un disco incredibilmente jazz, con ritornelli accattivanti, spolverate di batteria, sfiati di tromba, martellate di pianoforti. Canzoni che, una dietro l’altra, mettono a segno colpi che stendono. Provare: “Crime in the pale moonlight”, “How long is the wrong way”, “Hope to hear back soon”. Poi, lasciare suonare tutto il resto, finchè “morte non vi separi”.
Carta – Cantieri sociali
Ci sono “Compilation” e compilation. Questa è una tra due grosse virgolette e con C maiuscola. Perché? Perché fa parte della serie Dj Kiks della tedesca !K7, ovvero i giganti dell’elettronica che annovera artisti del calibro di Kruder&Dorfmainster o Bouzou Bajou, per fare solo due nomi. Questa volta a presentare la sua selezione è Annie, bellezza norvegese, che con il suo album “Anniemal” si era segnalata come possibile nuova stella pop-sensuale. Qui, ci da prova però, di una vasta conoscenza e gusto musicale, mescolando canzoni fantastiche e in alcuni casi introvabili. Cose vecchie e nuove. Tracce goderecce come Alan Vega con Jueboxe Babe che vi farà “shakeggiare” come ai tempi di Elvis. So, let’s dance viene da dire all’ascolto. Difatti, pezzo dopo pezzo, spicca una verve assolutamente dancefloor, però con gusto :mica solo roba per dj smanettoni o scatenati discotecari.
Carta – Cantieri sociali
Dopo una serie di djs “made in Catania” volgiamo lo sguardo a sud, verso Siracusa, dove incontriamo Paolo Mei, 31 anni, di professione “un po’ dj, un po’ cantante e un po’ giornalista”. Figura atipica a cui piace spaziare creando dj-set non convenzionali. Cosa suoni nelle tue serate? Indie-pop, songwriting, new acoustic, indie-rock e new wave, per quel che concerne le serate di musica d’ascolto. Indie-rock, ska, patchanka, elettroclash e ’80, per le serate danzanti. Hai mai realizzato delle compilation? Sì, “Rock on the dancefloor”! E’ stata promossa in molto club, su Mtv ed in alcune emittenti radiofoniche come radio città futura e rock fm. Raccoglie nomi nazionali, come Subsonica e Roy paci & Aretuska, ed internazionali, come Macaco, Motorpsycho e Brassy, fondendo dunque i generi che in qualche modo interessano le serate “alternative” alla tipica discoteca. Un disco imperdibile? “Good news for people who love bad news” dei Modest Mouse. Una canzone che non manca mai nei tuoi set, un pezzo porta fortuna? “Chicks and d**ks” di Junior Senior.
Il tuo dj preferito? Nessuna preferenza in particolare, anche perché, almeno in Italia, non esistono “selezionatori rock” che godono di particolare fama o che si distinguano nel panorama nazionale. Cosa bolla in pentola per dicembre-gennaio a Siracusa? A dicembre sto organizzando una due giorni di musica dal titolo “Spazi sonori”, per denunciare la mancanza di spazi per la musica, con Perturbazione e Baustelle. A gennaio proporrò gli …A toys orchestra. Esiste una scena rock siracusana? Purtroppo non credo si possa parlare di una scena a Siracusa. C’è qualche produzione “locale” che ti piace particolarmente? I Mashrooms di Siracusa, i Crabs di Catania, e i Tellaro di Sr/Ct e se mi è concesso i Matildamay e i Circo d’ombre, dove sono il cantante. Suoni per l’ultimo dell’anno? Dopo sei anni ho deciso di non metter dischi per la notte di capodanno. Dove possiamo trovarti sul web? Su www.paolomei.com
Curriculum
E’ il direttore “ir-responsabile” del quindicinale Geniabox. Dal 1998 passa dischi tra Catania e Siracusa. In questa stagione suona fisso al Sale e al Doctor Sam a Siracusa oppure come “guest” ai Candelai di Palermo. In giro per l’Italia ha suonato al Dounia di Napoli per presentare la sua “Rock on the dancefloor” e alla festa dell’etichetta discografica Mescal a Faenza. In previsione c’è un tour a febbraio. Al momento è concentrato sui Matildamay (rock) ed il Circo d’ombre (electro-pop) dove è leader e cantante. Collabora con un circolo arci, denominato Khorakhanè, dove si occupa della organizzazione di eventi musicali ed artistici. L’attività di dj non rallenta: a dicembre un live/dj set ai candelai di palermo con Joe dei La Crus e a febbraio un piccolo tour tra Firenze, Bologna e Milano.
Poche storie: un disco potente, geometricamente ben fatto. Patty Smith e Pj Harvey hanno fatto storia e le Sleater Kinney, tre “fanciulle” dell’Oregon, traggono linfa vitale da quelle esperienze per sviluppare la loro, autonoma, ma con riferimenti precisi. Rock e derivati. The Wood è il loro sesto disco, il primo per la Sub Pop, etichetta oramai storica che ai tempi lanciò i Nirvana. Hanno anche seguito i Perl Jam in una loro tournè, ed Eddie Vadder è un loro fan. Suona pieno d’energia, con tanta batteria e tanta rabbia, con un pizzico di miele che non fa mai male. Nei quarantotto minuti di musica vi soffermerete soprattutto su “Wliderness”, “The fox”, “Entertain” e “Modern Girl”, scommettiamo?
Carta – Cantieri sociali
Il giro del mondo in due cd da undici tracce. E’ “Future World Funk on the run”[Ether/Audioglobe], compilation eclettica e universale che mixa suoni e tradizioni di vari punti del mondo in un’ottica fondamentalmente godereccia e danzereccia. Colpevoli di tutto ciò due djs londinesi Michel “Califfi” Clifford e Russ Jones. Il primo cd ha una spiccata attitudine up-tempo, dove troviamo pezzi della Bollywood Brass Band o dei Transglobal Underground. Il secondo è più down-tempo, riflessivo ma stimolante. Il pregio di questo lavoro è quello di unire atmosfere braziliane e cubane con quelle dei balcani Tappe sonore intermedie: Costa D’Avorio, India, Inghilterra, Romania, e l’assolatissima Jamaica.
Carta – Cantieri sociali
Le dieci tracce che compongo Torunament of Heart, terzo album dei canadesi Constantines, tracciano le coordinate entro cui si muove il loro orizzonte musicale: suoni ruvidi e batterie potenti a sostegno di una voce graffiante che, volente o nolente, ricorda quella del Boss Bruce Spreengesten. Una dietro l’altra, Drew Us Lines, Hotline Operator, Love in Fear compongono il puzzle rock che cerca però di scavare in profondità, che ha anche dei momenti “teneri” come in Soon Enough o teneramente ritmati come in Thieves, con voce sussurrata. Il finale (Windy Road), dolceamaro saluto, come il vento lieve su una spiaggia d’inverno, ci congeda da un album non grandioso ma che non dispiace.
Carta – Cantieri sociali
Il centro di gravità (permanente) da cui parte il lavoro di Bruno E è il Brasile sua terra natale dove oltre a suonare ha fondato una casa di produzione, SambaLoco Records, che è diventata un importante ritrovo per la scena musicale danzereccia di tutto il Sud America. Dunque quel gusto tutto brazialiano di far musica si sente in questo suo secondo disco. Però non si resta ancorati solo in queste sponde ma si naviga verso altri approdi come il soul, la black music, l’ R’n’B, sempre mantenendo alto lo stile e la fattura. Undici tracce dall’impronta forte, sensuali (“Claras Revolucoes”, “Mister Modernismo”, “Sons”, “…is love”) e piccanti all’occorrenza. Un preserale per l’ora dell’aperitivo.
Se c’è un punto di riferimento per chi ama ballare a tempo di “rock, indies, electroclash, crossover, punk, ska, patchanka, ragga, hip hop”, e chissà quanti altri intrugli ancora, quel punto si chiama Renato Gargiulo, ha 34 ed è “dottore in Scienze Politiche”. Sin dagli inizi – ci dice – non ho mai considerato l’essere DJ come una professione, questo mi ha garantito sempre una libertà di espressione. Quando hai iniziato a suonare? Nel 1994 a Siracusa, quindi a Catania e da lì in giro per la Sicilia. Quali sono i locali dove hai suonato a Catania? Partendo dai centri sociali (nel pieno del loro fermento culturale) ho invaso le consolle delle principali locations catanesi alternative e non. Nella veste di producer ho partorito la rassegna per gruppi emergenti Suburban Live Set dal 200 al 2005, il Clash Tribute al Taxi Driver nel ‘03, ed ho organizzato il Pixies Tribute ai Mercati Generali nel 2000. Potresti darci una tua “scaletta” ideale? Nell’area playlist del mio sito (www.eyo.it, ndr) attualmente è possibile consultare 10 playlists per 360 brani. Il tuo dj preferito? Mi piacciono i set del combo “Two Many DJ’s” perché riescono abilmente a miscelare basi elettroniche con riff e suoni rock. Un disco imperdibile? Rage Against The Machine (omonimo) non mi stancherà mai!!! Una canzone che non manca mai nei tuoi set, un pezzo porta fortuna? Probabilmente una track hit che mi rappresenta è “Are you with me” dei Jaya The Cat band USA che ho conosciuto nel festival belga Pukkelpop.
Che succede al rock catanese? Hanno chiuso locations storiche e le poche che insistono combattono contro i mulini a vento. Altri gestori preferiscono puntare sulle cover bands che sono la morte della creatività. In tutto ciò l’amministrazione è miope, povera di progettualità e scarsamente attenta a queste realtà che fanno parte del DNA della nostra città. Ad esempio? Gli Hoovers o i None Of Us: entrambi Made in Catania.
IL CURRICULUM
Dal 1996 fino ai nostri giorni è il dj che ha aperto quasi tutti i concerti più i importanti e alternativi che si svolgono a Catania. Inoltre è stato sono dj resident per le rassegne Dentro il Taxi (al Taxi Driver dal 1998 al 2002), Sonica true vibes festival (a Misterbianco edizioni 2001-2002). Ha collaborato con Coca Cola suonando a Palermo nel 2004, a Taormina nel 2005 ed in giro per le isole Eolie con un veliero, al Krossower di Scordia per il Rock TV Tour, allo ZO per Catania_Risuona, con Red Bull per il Panna Knock Out della Nike e per l’Hot Jump / Red Bull sull’Etna. Lo vedremo impegnato come resident al venerdì al MER di Catania per la serata “JAR_gate – non conventional soundz” e al sabato alla Cartiera (Ct) “Electric_corner – live & dj events”. Il tutto in collaborazione con Rumori Sound System e Corus Art.
Concentrated non è proprio un “the best of”, è più che altro una selezione di tracce “concentrate” in un disco che rappresentano la produzione di The Nomad, dj neozelandese che ha il merito di aver portato nella sua terra parecchi “suoni nuovi”. Così ad esempio, il primo disco di drum’n’bass prodotto in Nuova Zelanda, nel 1998, è il suo. Ora si va “alla conquista” dell’occidente. Ecco dunque queste 13 tracce che si muovono in ambienti down-beat per alcuni versi, in situazione soul, ma anche pieno di echi hip-hop e di beat old scool. Su tutto una verve dub invidiabile. Sarà che uno si porta dentro sempre qualcosa delle sue origini, ma il tutto ha un certo profumo di oceano pacifico, di brezza marina.
Carta – Cantieri sociali
“A Genova? Fanno il miglior pesto che ci sia ma non in trattoria chiedi della scuola Diaz/ Credo che non sia soltanto un’ idea mia/ che nel manganello non ci sia democrazia/ e se la vita è mia lascio che sia/ cane contro cane quando il cane è della polizia”. Così rima Principe nella titletrack “Credo”, che, come in una pagina ballardiana, sforna i suoi “credo” a 360°. Il disco, 16 tracce, suona denso, con beat spessi, bassi che pompano e scratches che colpiscono (dj Double S, dj Koma, dj Tsura). I testi oscillano tra situazioni private (Godzilla, Fin qui tutto bene, Io non cambio mai) e risvolti sociali (Il problema). Varie, infine, le partecipazioni: Tormento, Tsu, Atpc, Rula, Duplici, Funk Famiglia.
Princess Superstar al secolo Concetta Kirscher deve essere una tipa eccentrica e stravagante. A sentire il suo ultimo lavoro si rimane colpiti da uno tsunami sonoro travolgente, violento, rabbioso.
Un frullato (molto shekerato) di musica estrema che spazia dalla techno all’electro, passando per situazioni disco punk. Come dire: essere incazzati utilizzando suoni e rumori metallici, urla e sbraitamenti mielosi e ammiccanti. Le 23 tracce variano molto, ad esempio durante un giro di boa si incontrano brani hip hop come On Top Bubble veramente sfiziosi. Oppure cose molto di tendenza come Coochie Coo sicura hit discorock tutta da ballare. My machine è un lavoro strano, molto poco convenzionale, che spiazza.
Carta – cantieri sociali
Undici tracce dove elementi soul anni ’70, funk, samba, jazz, bossa nova e molto altro ancora entrano in contatto per generare un disco stiloso, piacevole all’ascolto, vario. In una parola: cool.
S’attacca con “Who you are” e le strombazzate del ritornello per passare alla più morbida e fumosa “On This days”. Ma è già con Quando voce chegar che “Energy state” esplode nei ritmi brasiliani che danno un’impronta assolutamente allegra, gioiosa e movimentata. In “Get off” le atmosfere sono più black, le voci si fanno calde e i beat s’ingrossano. Questa primo lavoro colpisce per la ben riuscita di ogni singola canzone e la capacità, rara, di farsi ascoltare dall’inizio alla fine senza mai annoiare.
Tre compilation questa settimana all’insegna della dance. La prima è con C maiuscola. Perché fa parte della serie Dj Kiks (che è anche il titolo della compila, ndr) della etichetta tedesca !K7, ovvero i giganti dell’elettronica che annovera artisti del calibro di Kruder&Dorfmainster o Bouzou Bajou, per fare solo due nomi. Questa volta a presentare la sua selezione è Annie, bellezza “pop” e cantante norvegese, che da’ prova di una vasta conoscenza e gusto musicale, mescolando canzoni fantastiche e in alcuni casi introvabili. Cose vecchie e nuove, nulla di scontato, molto di policromo. Tracce goderecce come Alan Vega con Jueboxe Babe che vi farà “shakeggiare” come ai tempi di Elvis. So, let’s dance!
Continuando sulle rive danzerecce e per certi versi più moderne, The Raid [FortKnox] raccoglie in due cd 32 brani che si scatenano a varie velocità, con beat soul e beat break. Pennellate funky e black, casse dritte house e spezzettamenti vari. Eclettica e piacevole anche per l’ascolto.
Infine qualcosa di più estremo: Green&Blue [Coocun Records]. Doppio cd selezionato e mixato da Loco Dice (dj tunisino) e Ricardo Villalobos (dj cileno). 32, anche in questo caso, i brani a nostra/vostra disposizione. Difficile l’ascolto perché il progetto nasce per essere ballato. Il lavoro infatti festeggia l’annuale party di fine stagione del club – mobile – Coocun, assai noto agli amanti della house (www.cocoon.net). Il disco green è per alcuni versi più interessante perché caratterizzato da suoni e da beat più spessi, provenienti da esperienze hip-hop, mentre il disco blue è più “classico” con beat metallici tipici della house e dei suoi derivati. Consigliato a corpi coraggiosi!
I due si incontrano nel 2003 e da quel momento non si sono più lasciati. Rimano, rappano, suonano veramente con stile e qualità. Questo primo lavoro per La Suite di Torino è caratterizzato per essere stato realizzato con beat originali tratti da dischi d’oltreoceano. Vinili funk, soul, jazz-fusion scandagliati e scarnificati fino a recuperare il beat giusto da riutilizzare. Stesso lavoro per i ritornelli spesso scratchati con frasi classiche di rapper americani. Su tutto questo poi le rime di Fat Fat Corfunk che raccontano storie di strada, spaccati di vita, scene metropolitane. Ciò che colpisce è la varietà del suono, che viene influenzato da sonorità diverse, tratte da generi diversi.
Un dj (Shantel) suona in un club (il Bucovina Club a Francoforte in Germania). Il dj fa una compilation. Fin qui la storia non presenta nessuna novità di rilievo. Poi però il cd inizia a suonare. Traccia 2: stupore e meraviglia, fiati e ottoni, sembra di essere per le vie di Belgrado, in una strada in festa di Sarajevo. Traccia 3: e chi si ferma più! L’andazzo è a base di percussioni balcane e pizzicate di elettronica (il tocco del dj appunto). Ma non doveva essere una compilation di un dj che suona in club? Beh, il tutto è al quanto eclettico: 16 tracce di artisti vari provenienti dai Balcani, remixate ma non stravolte. In alcuni casi, con brani propri, ci mette del suo a 360°. Eccellente!
Carta – Cantieri sociali