[La sala gremita di Palazzo Reale durante un panel.]
Dopo aver scritto di getto le 10 cose “brutte” della Social Media Week 2013 di Milano, ho ri-pensato a questi giorni frenetici di incontri intorno a come i Social Media impattano e impatteranno nel futuro della nostra vita.
Una analisi, quella che segue, da alcuni punti di vista, quelli almeno da cui ho potuto vivere questa settimana. Questa volta, a differenza delle “10 cose” dove ho ironizzato un po’ anche per allegerire la tensione-da-giorno-dopo, cercherò di andare un po’ in profondità.
Piccolo disclaimer (detto e ridetto, ma repetita iuvant): ho seguito come membro del Social Media Team questo evento. E’ la mia terza social media week che seguo, due a Milano e una a Torino. Ho anche avuto molto di seguire altri eventi, “simili” per concezione. E’ quindi inevitabile per me fare dei confronti e paragoni, ma non per dare meriti o sottilineare demeriti: ma come bagaglio per analizzare, per dare stimoli, a futura memoria.
Cosa ha funzionato molto?
- IL NUMERO DEI PANEL. Ho trovato vermente vincente l’idea di non sovraccaricare di incontri la settimana. Premesso che 41 panel sono tantissimi, in passato alcuni programma ne prevedevano molti di più. Non serve avere una foresta di incontri se comunque non puoi seguirli tutti.
- LA PROGRAMMAZIONE. Tranne qualche raro caso, le conferenze non si sono mai accavallate. Questo ha evitato “la scelta” di un panel rispetto ad un altro e quindi ha ridotto il margine di errore.
- LE LOCATION. Belle e vicine. In pieno centro. Funzionali. E se a Palazzo Reale in sala c’erano solo due prese elettriche, bastava andare sui divanetti all’ingresso e il problema si risolveva. Dunque, “un problema” location non è esistito.
- IL WI-FI. Quello pubblico, quello di Telecom e quello di inMONDADORI. Hanno funzionato, sempre.
- LO STREAMING. Non ho saputo di particolari lamentele. E il giorno dopo il social quando l’hangover mi ha steso sul divano ho avuto modo di seguire un panel in straming senza problemi. Inoltre moltissimi incontri erano in streaming: scelta giustissima.
- LO STAFF. Presenti, gentili, efficienti. E poi si respirava una grande aria di complicità e di festa.
- L’ASSENZA DI NOMI ILLUSTRI. Ho scritto scherzando che questo era una cosa negativa. Appunto, scherzavo. Solo gente preparata, nessun “vips” della rete, nessun direttore di giornale a sparar sentenze su cose che non “mastica”. L’essere rispetto all’apparire. Non è cosa da poco.
- LA PUNTUALITà E LA DURATA. Ma un ritardo oltre i 10 min. E una durata giusta dei panel, da 1 ora a 1 ora e mezza. Dove si finiva sempre con un pizzico di voglia e mai totalmente sazi. Come è giusto che sia.
[I relatori del panel sugli Analytics]
Cosa non ha funzionato, secondo me?
E’ difficile qui fare l’elenco, perché è un mio personale punto di vista. Mentre quei punti sopra, almeno alcuni, non penso siano soggettivi, ma dati oggettivi. Comunque, ci provo.
- Non ho completamente capito (ne ho chiesto) la scelta di non avere nelle varie sale e visibili dal pubblico, la diretta del live twitting. Sì, ok: c’erano degli schermi, ma non avevano una centralità strategica. Quando questo è avvenuto: nel social party per esempio, o durante il panel più divertente, quello con i fumettisti, l’interazione ha lasciato il segno.
- Questo primo punto si ricollega secondo me, in maniera reciproca, a una voluta (ma anche qui, non ho chiesto) e strategica scelta di “poca” partecipazione col pubblico in sala e a casa. Attenzione, so che potrei essere frainteso, per cui cerco di essere chiaro. Secondo me non si è voluto provare a scommettere su modalità di conferenza che non sorpassino il normale recinto del “ci sono domande dal pubblico in sala?”. Questo è avvento, lo voglio sottolineare: sempre si sono potute fare domande e il live streaming ha garantito l’ascolto da casa. Avevo immaginato altre modalità. Faccio un esempio: per ogni panel una figura “esterna” che monitorasse le confersazioni su quel panel e che proponesse ai moderatori stimoli e domande in tempo reale e non solo marginalmente.E altre che nel frattempo mi sono venute in mente: magari farò un post apposito. Perché non sarebbero solo indicazioni legate a questo evento. In generale questa “voglia” manca.
- L’assenza di traduzione nei panel in inglese. Ok, non erano moltissimi, ma perché privare della possibilità di capire meglio la persona che sta parlando. Non un obbligo, ovvio: se capisco l’inglese non uso questa possibilità. Ma se ho difficoltà, perché escludera?
Ecco questi i tre appunti che volevo sottolineare nel complesso di una Social Media Week che mi ha pienamente soddisfatto. Ma qui ci ritornerò dopo.
Un giudizio sui panel.
Dei 41 incontri in programma ne avrò seguito una 30, qualcosa più, qualcosa meno. Pochi, pochissimi mi hanno lasciato indifferente e mi hanno annoiato. Gli altri li ho trovati qualitativamente molto alti: ho scritto sopra dell’assenza di “stars”. Ecco qui è stata la chiave di svolta. Nei giorni precedenti, quando a singhiozzo venivano fuori i nomi, anche io ero un po’ perplesso. Perché anche io subisco il fascino discreto dello specchietto delle allodele. E invece incontro dopo incontro ho maturato l’idea che quella fosse stata una scelta vincente. Lo ripeto: l’essere invece dell’apparire.
Per me, per come la penso io, per i miei gusti: il panel che mi è piaciuto di meno è stato quello su Food. I due a parimerito che per contenuti e modalità di comunicazione di tali contenuti quello sugli Analitycs e su Fumetti. Esatto: quello sui fumetti. Sì perché io non sono un amante di fumetti, ma in quel panel ho sentito molte cose interessanti intorno ai Social Media.
Il mio invito, per chi non ha potuto assistere da casa o di presenza, è di spulciare nuovamente il programma e piano piano, rivedere on demand le puntate.
[Roby Peraboni e Filippo Marano: i Blues Brothers della #smwmilan]
In complesso, alla fine.
Ho cercato di vivere a pieno questa esperienza, e ho cercato di analizzare vari aspetti, osservare le cose da diverse angolature.
Il risultato, per me, è pienamente soddisfacente: devo fare un plauso a tutti e lasciare questi appunti a futura memoria. Chi verrà dopo non potrà più tornare indietro. Sia nelle poche cose che a mio giudizio potevano andare diversamente, sia e soprattutto in quelle che invece hanno funzionato tantissimo che sono largamente maggioritarie.
* * *
ps. Avevo scritto qui, nel post-disclamer che avrei indossato la maglietta (ah, ne ho prese due) della Social Media Week e non la casacca. Missione compiuta. Credo.
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4 Commenti
I commenti sono chiusi.
Ecco, lì sembra che ci stiamo scaccolando però 😀
Ti dice niente: Carpe diem? 😀
Condivido molto di quello che hai scritto, soprattutto la sottolineatura che hai fatto sui nomi non illustri: non se ne può più di personaggi famosi che poi non hanno niente di interessante da dire, tanto loro sono famosi e tutti li chiamano lo stesso!!!
L’appunto invece che mi sento di fare e che ho scritto anche nel mio post sul panel “Social media e trend per il 2013” (http://lospiteinquietante.blogspot.it/) è che un argomento come questo avrebbe forse richiesto un pochino più di approfondimento, alcune cose sono state un po’ buttate lì senza la possibilità di poterle approfondire per mancanza di tempo.
Grazie AnnaMaria. Ti posso dire, come ho scritto, che molti panel sarebbero dovuti e potuto durare molto di più: ma poi forse avremmo scritto che duravano troppo. Stabilire una linea temporale unica è forse doveroso. Capisco quel che dici, comunque.