Qui di seguito tutti i post sotto la categoria musica del vecchio blog. Lo so avrei dovuto, e potuto, rimettere piano piano tutto, ma non ne ho le forze. Alla fine così, comunque, tutto rimane. Nulla si perde…
Da oggi tutto ciò che scriverò di musicale verrà pubblicato su Musica ovvero il lato musicale di roccorossitto.it
Restano sempre attivite le categorie qui presenti dove ho pubblicato tutto quello che ho scritto prima del novembre 2008: Musica, musica Italiana, musica straniera.
Per leggere Musica! dunque: www.roccorossitto.it/musica
Nel frattempo sto lavorando su Musica! ovvero la mia parte musicale che si sgancia da questa interfaccia per traslocare su roccorossitto.it/musica
Fatemi sapere…
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Flow.er n°4, 27 e 28 giugno: l’elettronica incontra il profumo di Sicilia. La chiave di lettura è sempre la stessa, lungo le tre edizioni precedenti e quella che si accinge a compiersi. L’una da forza all’altra.
E se il profumo dei Marcati Generali (club storico, eclettico, finito nella Top Ten Club around the World del “The Guardian” nel gennaio 2008), che ospita e produce il festival (insieme a CreaE20), è sempre fresco, la lista di chi suona cambia ogni anno con nomi ricercati, ma non troppo. Con dj in voga, ma senza esagerare. Ad esempio: Merrill Beth Nisker in arte Peaches, o Robert Owens (chi ricorda la sua “house” in a Chicago negli ’80?) o Michael Fakesch (che insieme a Chris De Luca è stato la metà dei Funkstörung). Ancora: Kalabrese e la sua “Rumpelorchestra”, per l’Italia Tying Tiffany in concerto live, e Kikko Solaris & Salvo Dub. Infine Geoff White. La lista però è in movimento, dunque conviene tenere d’occhio il myspace.com/flowerfestival per scoprire qualche chicca dell’ultima ora. Flow.er è una buona scusa per venirsene in Sicilia, o viceversa: decidetelo voi.
Il duo formato da Walter Merziger e Arno Kammermeier meglio conosciuto come Booka Shade è uno di quei nomi “caldi” della scena dance europea e non solo in ambito house e più esattamente minimal house. In questo disco regalano però sonorità più intrecciate, una maglia sonora più orecchiabile, quasi prettamente da ascolto, con parti cantante e strumenti “reali” suonati. Non mancano poi le sequenze più dance, ma anche in quei frangenti la voglia di mescolare il loro lato dancefloor con quello più “d’autore” è ben presente. Un album ben riuscito che sorprenderà gli animi pigri.
E’ il terzo album per gli Ultraviolet Makes Me Sick. Bello. Diciamolo subito e senza remore. Questo è il giudizio complessivo. La sintesi è che il trio di Pavia ti stende subito con le sue geometrie impazzite, le sue lande desolate, la sua psichedelia, il suo rock onirico. Inoltre porte aperte a contrabbassi, elettronicherie, tastiere e oggetti contundenti e inusuali. L’idea di fondo che traspare è che tutto sia comunque riconducibile ad un ordine, ma che in virtu’ di esso però ci sia una volontà esplicita di sparigliare le carte, di interrompere flussi di non voler chiudere il cerchio nonostante esso tenda a chiudersi.
La scia lunga è quella delle songwriters del nord america con atmosfere delicate. Con lieve venature di disperazione e serenità. Con arpreggi e giri armonici, ritmi strusciati di batteria, sottili implosioni, soffici scivoli. Tutto molto “lo-fi” per intenderci. Comunque sia: restano questi ondeggi, queste altalene su praterie e orizzonti lunghi, sempre vividi durante le 10 tracce, senza mai che il livello si abbassi troppo, né subisca improvvise impennate. In passato suonava la batteria Sara, ora la chitarra è il suo mondo e questo vieni fuori. Fortunatamente.
CESARE BASILE // “STORIA DI CAINO” – Urtovox rec
E’ ormai riduttivo presentare ogni nuovo disco di Cesare Basile sottolineando che si tratta di un’autore della “nuova” scena cantautorale italiana. La scena non è più nuova, anzi è ormai matura e questo Storia di Caino non fa altro che confermare la qualità dei precedenti dischi da solista (in passato, ad esempio, con i Quartered Shadows nella Berlino appena post muro) di Cesare che stanno sempre in bilico tra rock e canzone d’autore sbilanciandosi a seconda delle situazioni e del tempo. Qui, appunto, continua su questi passi, poco sicuri e ondeggianti, tingendo i suoi suoni, spesso cupi spesso elettronici, di tonalità carnali calde, di disperazioni composte, di imprecazioni e di denti stretti, di ritmiche pronunciate, un po’ blues, un po’ folk, un po’ rock. Di testi che raccontano storie un po’ personali un po’ colletive.
Come in Hellequien Song la produzione è affidata a John Parish, che in passato ha collaborato, ad esempio, con PjHarvey. Inoltre, sempre folta la lista degli amici musicisti presenti. Citiamo per tutti Robert Fisher dei Willard Grant Conspiracy che interpreta l’unica traccia in inglese “What Else Have I To Spur Me Into Love?”. Senza entrare troppo nel merito, perché spiegare le canzoni a volte vuol dire impoverirle, traccia dopo traccia si ha la sensazione di un lavoro in cui le varie parti musicali si equilibrino a vicenda restituendo tutta l’energia sprigionata in fase di creazione e produzione. Un disco, l’ha definito l’autore senza volerne spiegare il perché, “sull’assenza”. Un disco che invece riempe, ascolto dopo ascolto, durante le 12 tracce e lascia quel retrogusto amaro, quel sapore del non scontato, che fa la differenza.
Madox / Urban Plastic [Mantra]
Per fortuna non esportiamo solo la sestina Ferro-Ramazzotti-Pausini-Nek-Zucchero-Bocelli. Madox è un glorioso esempio. E’ napoletano e si chiama Stefano Miele. Sono anni che incide ep che suona e vengono suonati nei club di mezza Europa e di mezzo mondo. Ora, finalmente, fa uscire il primo disco. Tredici tracce che prendono il nome di Urban Plastic. La produzione è anch’essa italianissima: la bolognese Mantra che è apprezzata più fuori dallo stivale che al suo interno. Il suono di Madox è ruvido e potente. Il genere è quello che tra gli addetti ai lavori è chiamato Breaks (o Breakbeat), che è figlio della drum’n’bass per intenderci, ma che suona più fresco, meno cupo per alcuni aspetti. Madox però è un contaminatore e infatti spuntano mc brasiliani (Cabal e DG in El Magnifico) o ritmi samba come in Cabaleira. E un contaminatore perché in ogni traccia c’è qualcosa che la rende unica e non scontata: l’andamento è orientato al dancefloor, però la cura sta nei dettagli, nei bassi gonfiati a dovere, nelle ritmiche che ti travolgono. In più è molto molto apprezzato da gente di un certo spessore come Ronnie Pilgrem e Plump Dj’s (di cui abbiamo più volte parlato in questi anni): l’italian touch si fa strada…
Il mito di Bob Marley è vivo e vegeto e ad alimentarlo ci sono delle produzioni tanto valide quanto interessanti. Ad esempio questo “ Bob Marley and the Wailers. Roots, Rock, Remixed”. 12 tracce di Marley, nemmeno le più famose, dove ci hanno messo su le mani alcuni nomi noti e altri meno noti. Ad esempio: Fort Knox Five, Trio Elétrico (ovvero Boouzo Bajou, ndr), Dj Spooky. Ma al di là di chi ha “remixato” cosa è il complesso a soddisfare. Un suono che esce rivalutato, che non viene però stravolto, non intaccato nei sui punti vitali, ma piuttosto “vitaminizzato”, con piccoli innesti che aiutano ad apprezzare, che fanno vedere l’origine della canzone mutandone l’orizzonte. Una chiave di lettura di matrice più “elettronica” figlia dei giorni nostri, che non guasta e aiuta a ri-assaporare cose passate, come appunto le produzioni di Marley e soci. E se è vero che spesso e volentieri gli originali sono meglio dei “remix” è altrettanto vero che certe volte il rimettere mano a successi e o a brani con un forte DNA può giovare e far apprezzare ancor più una canzone, un disco. Accade per One Love, la più famosa tra quelle in lista. In chiusura del disco, come “bonus track”.
Loro si chiamano Amor Fou e da qualche settimana il loro disco è in giro. Anche loro sono in giro per un tour di presentazione del loro primo disco. Gli Amour Fou sono una “neonata” band, composta da musicisti con un passato alle spalle. Cesare Malfatti è la metà dei La Crus e dei The Dining Rooms. Leziero Rescigno e Luca Saporiti hanno svariate collaborazioni tra l’Italia e l’estero. Alessandro Raina, con cui facciamo questa chiaccherata, è stato per un po’ la voce dei Giardini di Mirò, oltre ad aver inciso due dischi come solista. Il disco scivola lungo canzoni “cantautorali”, dove però nulla è nostalgico e il “moderno” serpeggia, fortunatamente.
Nella nota alla stampa si legge che Amor Fou “nasce a Milano nel 2005 dall’incontro fra…” Però la versione che vi siete incontrati per caso, non regge.
“Non ci siamo incontrati per caso. Io e Cesare ci siamo conosciuti ufficialmente nel 2004 a Urbino, nell’ambito del festival Frequenze Disturbate. Dei La Crus possedevo quasi tutti i dischi e lui apprezzava il mio lavoro nei Giardini di Mirò. Vivere a Milano nella stessa zona facilitò una frequentazione che, nel giro di due anni, ha coinvolto nel progetto anche Lagash e Leziero Rescigno, in un’entità che avrebbe preso il nome di Amor Fou. Casuale, al 100%, è stato invece il nostro incontro con Adele e Paolo, i personaggi che che mi hanno ispirato la storia che aleggia nei meandri de ‘La stagione del cannibale’.
Come mai ci avete messo 2 anni a far uscire il primo disco? Ha avuto una gestazione travagliata? Siete partiti dalla musica o dal testo?
“Le difficoltà riesiedono principalmente nel differente approccio che ognuno di noi ha verso la musica e piu’ in generale verso l’arte. C’è chi fra noi è piu’ confusionario, chi vive momenti periodici di grande rallentamento, chi sfornerebbe dieci idee alla settimana. Dalla media di tante sensibilità è emerso un disco. Non è stato assolutamente facile. All’inizio siamo partiti dalla musica, ma piu’ di metà dei brani è stata composta da me e da Leziero in modo molto tradizionale, secondo i dettami della scuola cantautorale piu’ tradizionale, seduti attorno a un tavolo, con le chitarre, un foglio, una penna e il caffè perennemente sul fuoco, ovviamente preparato alla maniera del grande Eduardo De Filippo”
E’ possibile parlare di un concept album per La stagione del Cannibale? E poi, sotto “l’amore” c’è anche qualcosa di più “politico” nella storia che raccontate: qual è il pezzo più politico dell’album e quale, di contro quello più intimo, personale.
“I concept rispecchiavano un approccio alla musica pop molto nobile e complesso. In questo tuttora i concept album appaiono figli legittimi dell’epoca in cui vennero pensati. In una società povera di concetti ‘forti’ (o per meglio dire di un pensiero forte) i concept sono passati di moda, in favore dei dischi infarciti di singoli, dei riempipista e delle suonerie per cellulari. Molto umilmente ci siamo rifatti alla dimensione dei dischi di Lucio Battisti che amiamo di piu’, come come ‘Il nostro caro angelo’ o ‘Anima latina’ che pur vivendo di canzoni stupende, ‘a sè stanti’, racchiudevano un’idea, un filo rosso che percorreva tutto l’LP, in modo assolutamente naturale, facile da cogliere ma mai banale.
Il nostro è un disco forse piu’ ‘etico’, direi ‘neo-moralista’, che non ‘politico’. E’ nato sulla base di un amore per la musica e per una tradizione culturale che sentiamo nostra, ancor piu’ nostra di fronte al suo oblio. C’è un’etica di fondo che ci porta ad amare la musica a prescindere dai mille abusi che se ne fanno oggi, un amore che dedichiamo anche al cinema e ai libri, agli autori che ci hanno spinto a mettere in gioco la nostra vita per provare a fare gli artisti. La canzone piu’ intima è anche quella piu’ politica perchè il disco parla di un’illusione personale (quella di due innamorati) che a un certo punto coincide con l’illusione di un paese che si risveglia incancrenito e preso d’assalto da un grande malessere (l’Italia di fine anni ’60). Dovessi citarne una direi ‘L’anno luce’ e ‘La strage’ che ne è il completamento.
Come mai tra gli autori delle canzoni risultano solo “a.raina, l.rescigno” tranne che ne Il periodo ipotetico dove tutti e quattro figurate come autori. E’ stato un lavoro a due o di gruppo?
Sbaglia chi pensa che, riguardo alla scrittura, il disco di un gruppo sia sempre il prodotto di uno sforzo multilaterale. Non accade mai, che io sappia. Ognuno porta il proprio contributo in via differente, perché fare un disco non è solo scrivere e registrare canzoni, ma anche tanto lavoro di organizzazione di risorse e spazi.
Leziero ed io, in un momento di grande impasse per la band e per i suoi singoli componenti abbiamo, trovato nel nostro connubio musicale tanti argomenti che per un anno ci erano sfuggiti e in poche settimane abbiamo scritto quasi tutto il disco, scelto il titolo e dato un senso a tutta la mole di suggestioni che avevamo assorbito nei mesi precedenti. In questo non c’è stato alcun gesto di esclusione, ognuno ha avuto modo di contribuire spontaneamente al disco in vari modi e in diversa misura.
Carta – Dicembre 2007
Con “Note book, A journey in Sound”, Gherardo Frisina mette un altro tessello al suo mosaico musicale. Giunto al suo quarto disco ci propone 12 tracce, di cui 3 mai pubblicate prima: Tokio’s Dream, Calle de Candela, Es Differente. Le altre sono suoi remix celebri che anno contribuito, negli anni, a renderlo conosciuto in Italia e all’estero. Il “sound” è legato al jazz e ai suoni che lo hanno contaminato rinfrescandolo negli ultimi decenni con tinte meno nette e più meticce, con attitudini più “dance” rispetto alla tradizione. [www.ishtar.it]
Nella raccolta “Jamaica Funk” si sente forte l’odore dei vinili e del sudore della pelle, spesso nera, che in Jamaica, negli anni ’70 (dal 1972 al 1978) ha segnato un epoca. La Soul Jazz Records ha fatto un’operazione “filologica” infilando dentro delle uscite di 45 giri registrate negli anni citati: tanto funk e soul e lo spirito del reggae che aleggia ovunque. Un risultato interessante che testimonia come nel passato, spesso e volentieri, l’originalità sia di casa. E oggi, purtroppo, è un guardarsi indietro. Spesso e volentieri. [www.souljazzrecords.co.uk]
Con “14-19”, invece, cambiamo completamente palcoscenico. E’ l’ep che segna il ritorno di Paolo Benvegnù. E’ l’attesa del suo nuovo disco che ci viene ammorbidita con queste 5 tracce sempre in bilico tra varie definizioni, “rock”, “cantautorato”, “poesia” e che invece trovano ottima posizione più su uno stereo che su un giornale. Come detto, aspettiamo l’album per il giudizio definitivo. Intanto ci gustiamo queste… [www.paolobenvegnu.org]
Carta – Dicembre 2007
Suonano tirati i sassuolesi Les Fauves con N.A.L.T-1 A Fast Introduction. Infilano dentro un batteria dritta in verticale, con linee di basso ruvide e voce acida. Si fanno apprezzare perché si sente che sono giovani (22 l’età media), ma che non sono i primi arrivati.
Una attitudine spiccatamente “garage-rock-punk-indi”, che non vuol dire nulla, probabilmente, se ci fermiamo alle etichette, ma che spiega a parole come il loro suono sia duro e puro, morbido e corrotto, dance&rock, ironico e irriverente. Suonano nel lettore, ma sembra siano dal vivo in una delle tante date in giro per l’Europa.
Quel puzzo di concerto se lo portano dietro traccia dopo traccia, nelle ritmiche, nei ghirigori del basso: fava go go dance, twister twister, no spaghindie per voler iniziare. Camaleontici: sono passati indifferentemente dal palco del Fib in Spagna a quello della mostra del cinema di Venezia, perché una loro traccia fa parte della colonna sonora di “Non pensarci” con Valerio Mastrandrea.
E, forse, la chiave di lettura sta tutta lì, nella loro voglia di non voler stare solo da una parte. Così, ad esempio, hanno collaborato in una traccia, “Silente Suv”, di Some Other Country, lavoro del duo londinese tecno-dub Swayzak. Dei menestrelli punk, che dissacrano a partire dal suono.
E questo è solo il loro primo album, preceduto solo da un EP che già aveva riscosso il favore del pubblico.
Disco della settimana. Carta 20/10/2007
Cose strane questa settimana e diverse tra loro. Per iniziare di gusto: Structure and Cosmetic dei The Brunettes, al secolo Heater Mansfield e Jhonatan Bree. Catalogati alla voce “vintage-pop”, i due presentano un album strepitoso, ricco di cosmetici sonori: rossetti, obretti, lucida labbra e tanto smalto per le unghie. Un po’ glam certo, molto pop con coretto, ironia, ma anche ballate lente. Voci, comunque, suadenti e ammiccanti. La prima traccia è il loro manifesto: “Brunettes against bubblegum youth”.
Altro capitolo strano è Discovered a ollection of daft funk samples ovvero 12 tracce che hanno fatto ballare, che hanno influenzato, che hanno coinvolto i Daft Punk. 12 spunti assolutamente funk senza tanti fronzoli: viene voglia di cotonarsi i capelli e comprare un jeans a zampa.
Con Dust Galaxy, Rob Gaza, metà dei Thievery Corporation, realizza il suo prima solista. Qui prendono spazio e si dilatano suoni psichedelici sostenuti da ritmiche di matrice rock con innesti elettronici. Ambientazioni orientali e talvolta misticheggianti. Il progetto si avvale di tante collaborazioni tra cui: Shawn Lee, Martin Duffy & Darrin Mooney (Primal Scream), Adam Blake (Cornershop) e alla chitarra, Jerry Busher (Fugazi, French Toast)
L’indie-rock dei Blitzen Trapper invece convince perché non puro. Si scontra con qualche perdita d’identità salutare per cui ritroviamo qualche pesantezza e leggerezza inaspettata. Qualche assolo stile haevy, o qualche propensione al motivetto che non guasta affatto. Wild Mountain Nation scorre dritto dritto senza sosta lungo tutte le tredici tracce. Registrato da loro stessi con l’unico ausilio di un “processo segreto imparato da amichevoli extraterrestri”, dicono. Bravi!
Che stravagante compilation questa presentata da Jamie Cullum. Fa parte della serie In the mind of della District6. In questo caso, appunto, nella mente di Jamie Cullum, nome nuovo della scena pop jazz internazionale che ha venduto un bel po’ di dischi negli ultimi anni. Dunque, nei gironi della sua mente si parte da Nina Simone (I Think it’s gonna rain today) con voce e piano: struggente. Poi si continua sulla falsa riga del jazz fino ad arrivare alla prima traccia inedita di Cullum: un misto di jazz e pop con un buon “mood”. Alla traccia 5 il colpo di scena: Laurent Garnier con una cassa dritta acida. Alla 6 Quasimoto con jazz e hip hop oggi sposi: un matrimonio riuscitissimo. Si va avanti con Charles Minugs, poi ancora Cullum con un altro inedito, con Herbie Hancock, la Cinematic Orchestra, Roni Size. In definita una gran bella e coraggiosa selezione, che incuriosisce perché non banale.
Italiani invece sono gli Annie Hall che con Cloud Cuckoo Land percorrono strade non nuove, ma lo fanno a modo e con decoro. Il tragitto è quello delle “folkstories”, delle chitarre acustiche, del glockenspieal, della farfisa, del piano rodhes. Poca inventiva, tanto cuore. Risultato apprezzabile.
Lavoro duro da digerire quello dei Einstürzende Neubauten. ALLES WIEDER OFFEN è un incontro del rock scuro verso la poesia e il teatro, verso rumori elettronici, guardando al cinema. Occorre dirlo, se sfuggisse: leader è Blixa Bargeld dei Bad Seeds, compagni di ventura di Nick Cave.
Iron&Wine il nome dietro cui sta Samuel Beam. The Sheperd’s Dog è il nome del suo secondo disco. Canzoni molto timide, delicate, che nascondendosi mettono a nudo, che scappando ti vengono incontro. Fatto di chitarre, violini, arpeggi…
Carta
Certe volte tra le mani capitano dischi a cui uno non presta inizialmente molta attenzione: vuoi per il nome, vuoi per la grafica, vuoi per altre scemenze che, purtroppo, destano l’attenzione.
E’ questo il caso di Piece Work di Ewan Pearson. Un disco strepitoso. Le coordinate di riferimento sono le seguenti: un disco di remix in chiave pop-dance nell’eccezione più positiva possibile. Alcune tracce possono fare ballare, altre le puoi ascoltare benissimo anche a casa comodo sul divano (chiaramente, le spallucce si muoveranno un po’) o in una cena/festa: entrambi comunque sono “double face”. Dentro ci sono cose tipo i Chemichal Brother feat.The Flaming Lips con The Golden Path, o Franz Ferdinand con Outsiders, ma anche i The Rapture con I Need Your Love, Moby con Raining Again, i Depeche Mode con Enjoy the Silence, i Royksopp con 49Percent i Pet Shop Boys con Psyhological e anche due tracce dei Goldfrapp. Tutte rivisitare con additivi chimici/elettronici che, da soli, non garantiscono nessun risultato, ma che aggiunti da mani sapienti possono rendere moltissimo.
Il personaggio è sicuramente tra il geniale e il modaiolo e probabilmente negli ambienti è anche conosciuto, ma chi scrive non ne aveva mai sentito parlare e appena finite queste ultime battute (sulla tastiera e in cuffia) andrà a leggersi la biografia. Non si sa mai…
Carta
Electro che passione! La serie The Kings of… della Rapster dedica alla musica electro il non capitolo della saga: The Kings of electro. Come di consuetudine in due cd. Il primo, The History, è firmato da Playgruop (ovvero Trevor Jacson). Il secondo, The Present, dal duo Alter Ego. Le diciannove tracce del primo disco si snocciolano ascoltabili: suoni e merletti elettronici, provenienti da un recente passato che attinge a piene mani nella old school hip hop, come nella ritmica dance anni ’80 tanto amata/odiata. Come colore dominante c’è appunto l’electro, ma è di sfumature che si tinge la compilation come alla traccia 14 con Ryuchi Sakamoto con Riot in Lagos o come in chiusura una versione ritmata di Dock of the Bay di Junior Wilson che non dispiace affatto. Il secondo disco è invece orientato al presente e quindi in versione dance con accenni più danzerecci in Jupiter Jazz dei Galaxy to Galaxy e altri più divertenti come He not in dei Chiken Lips. Il tutto passa tra i suoni più minimali e deep di Robert Hood con Minus.
Live di Henrik Schwarz è stato registrato in un numerosi club in giro per il mondo: Tokio, Manchester, Berlino, Porto, Londra, Amsterdam, Roma ecc. Costituisce un piccolo passaporto sonoro con cui il produttore e dj berlinese si presenta al pubblico. Tra le credenziali, appunto, anche la recente compilation della serie djKiks per la !k7. Qui si trovano 16 tracce suonate dal vivo, in alcuni casi suoi pezzi in altri remix da lui effettuati come It’s a man’s world di James Brown, stravolta nell’anima ma non nella voce.
Chiudiamo il tris con un disco che uscirà a metà ottobre: 23 second del trio canadese Cobblestone Jazz che unisce l’improvvisazione jazz all’estetica dance creando e sperimentando, vagando un po’ a zonzo e riuscendo a tirare fuori cose davvero interessanti per chi ha voglia di mettersi un po’ in gioco.
La Schema Records è conosciuta dal pubblico mainstream per aver prodotto il disco di Mario Biondi che è “ormai doppio disco di platino, con oltre 160.000 copie vendute solo in Italia”. A fornirci queste cifre e a raccontarci della Schema è Luciano Cantone, catanese emigrato a Milano e fondatore dell’etichetta. In realtà l’etichetta ha anche una storia precedente e di tutto rispetto con produzioni interessantissime.
“Agli inizi del 1991 – ci spiega Luciano – la Ishtar era una ditta individuale. In quel periodo affittai uno spazio presso lo studio di registrazione dove mi esercitavo e studiavo la batteria, da qui nasce un’amicizia con Davide Rosa all’ora proprietario dello studio. Nel 94 io e Davide, costituiamo la Edizioni Ishtar snc che viene iscritta presso la SIAE come editore musicale. Agli inizi del 97, reduci da una precedente esperienza non soddisfacente diamo vita alla Schema Records marchio registrato che fa capo alla Edizioni Ishtar. Il proposito era quello di continuare a produrre i gruppi che facevano già parte del nostro “roster” come il Paolo Achenza Trio e il Quintetto X, gruppi baresi nati sotto il movimento culturale “Fez”, ma anche di allargare i nostri orizzonti in nuove aree musicali. La Schema records nasce fondamentalmente da una forte passione per la musica che ci induce a condividere continue esperienze professionali e umane ed è il contenitore musicale che pubblica progetti discografici di svariati generi fortemente influenzati dal jazz. L’organigramma è semplice io con mansioni più artistiche, Davide al controllo generale, Carmen Frank all’ufficio editoriale, Marco Scalpelli international promoter, Danilo Durante (a capo anche della promozione in Family Affair) e responsabile in Italia delle etichette Ishtar/Schema e Paolo Romani un ufficio esterno che coordina la promozione televisiva con base a Roma.
Siete presenti all’estero come vendita e tour, mi pare che di questo se ne occupi la family-affair che è la vostra società di distribuzioni?
Essendo produttori di fonogrammi, la nostra organizzazione non è strutturata per l’organizzazione di attività e spettacoli dal vivo, almeno che esse non siano correlate ad attività promozionali di cui noi siamo organizzatori. La distribuzione dei supporti fonografici prodotti da Edizioni Ishtar è affidata alla “Family Affair Distribution” società del nostro gruppo, che distribuisce in nostri supporti sia in Italia che all’estero
Che peso ha internet nel vostro business e in generale sulla vita di schema e delle altre etichette?
Gli diamo sicuramente il giusto peso, sperando che possa diventate un modo alternativo “legale” per fruire in musica. Siamo presenti sui maggiori portali; I-tunes, Napster, e-music, Juno etc…., ma il fatturato in internet non ha sostituito in proporzione il calo di fatturato dei supporti fonografici. Questo non è un problema legato alla nostra etichetta, ma una realtà di mercato. Negli ultimi 5 anni l’industria discografica si è trovata di fronte ad un drastico calo del volume d’affari che la rappresentava.
Come definiresti la musica che producete?
La musica che produciamo al di la dei generi musicali e delle influenze che la rappresentano é il risultato del coinvolgimento personale con i gruppi di lavoro e gli artisti, in cui si cerca di mantenere uno spiccato senso critico, coscienti che un buon risultato deriva da quanto riesci a comunicare trasmettendo fiducia e credibilità alle parti coinvolte. Nella condizione attuale, è facile perdere la propria identità, dove immagine, potere e notorietà contano più dei contenuti. L’ostacolo principale è valorizzare le capacità degli artisti, affinché il prodotto suoni sincero e spontaneo.
La definizione dunque potrebbe essere nu-jazz in costante evoluzione che convoglia diverse influenze in un unico corpo, cercando di mantenere la propria identità.
Qual è il prossimo disco che uscirà per voi?
In programma un album di remix di Gerardo Frisina intitolato “Notebook”. Nel 2008 il nuovo album di Rosalia De Souza, di Nicola Conte il cui titolo sarà “Ritual”, di Alessandro Magnanini coautore di alcuni brani di Mario Biondi, degli “The High Five Quintet”.
Universitinforma
Brazilectro, latin flavoured clubes tunes, session 9 è il nuovo capitolo di questa fortunata compilation che anno dopo anno rinfresca le nostre casse con brani originali e remix che hanno come protagonista, nelle sue svariate sfaccettature, il Brasile e il suo suono. In realtà, appunto, trattasi di suoni, poiché se il brand-sonoro è inconfondibile, è di sfumature che si caratterizza questo lavoro. Non solo autori brasiliani (Marcos Valle, Celso Fonseca ad esempio), ma anche tanti europei catturati dal fascino verde oro (i tedeschi Mo’Horizons o gli italiani The Dining Rooms). Come prassi, due i cd per un totale di 26 tracce. La divisione, classica, è in “comoda” e “dança”. Il resto è sostanza e forma, è fascino e stupore, è il lento agire della bossa nova, o il più veloce della samba come nel caso dei Sambasonic in Ponta de Lanca Africano. Il Brazil-style se in alcuni casi è inflazionato qui riesce a rinnovarsi mantenendo intatte le sue radici, come in un esercizio di stile innestato con fantasia e inventiva. Con l’attitudine e il buon gusto. L’omogeneità la si raggiunge, traccia dopo traccia in maniera paradossale, proprio con la diversità degli attori in campo, con il contributo di ognuno, con le buone scelte, bisogna dirlo, fatte da Ralf Zitzmann che ha selezionato preziosamente le tracce. Ovviamente, agli oppositori del genere sconsigliamo vivamente l’ascolto.
Carta
Latin Flovoured club tunes
Audipharm/Audioglobe
Il Brasile è una terrà calda in tutti i sensi. Nel cibo come nello sport. Nei colori e nei suoni. E se l’estate sta finendo, come cantavano i Righeira, un bel modo per prolungarla è ascoltare Brazilectro, latin flavoured clubes tunes, session 9. Già, questa compiletion famosa in tutta Europa è giunta alla nona edizione. Due dischi da 14 e 12 tracce che fotografano, anno dopo anno l’andamento della scena verde-oro e, parallelamente, l’influenza che essa ha su artisti europei che ad essa si rifanno e da cui attingono a piene mani. La caratteristica è quella di unire brani originali a remix. Ovviamente: non si tratta solo di payette e culi sculettanti sotto il carnevale di Rio. Il disco 1 porta come sottotitolo un inequivocabile “comoda”, con autori quali Marcos Valle, Celso Fonseca, mentre il disco 2 è ribattezzato “dança” propone tra gli altri i tedeschi Mo’Horizons o gli italiani The Dining Rooms. Ma, aldilà dei nomi che spesso non si conoscono, quello che appare e traspare è una verve invidiabile e una capacità di inventiva e rigenerazione che non fa stancare mai, seppur facile sarebbe ripetersi. Sia dunque che si cerchino atmosfere più “comode” che altre più orientate alla pista da ballo (con annesse bevande rinfrescanti) questa selezione riesce a soddisfare ed accompagnare questa fine estate, questo inizio d’autunno.
Universitinforma
FEDERICO AUBELE/ Panamericana.
Federico Aubele, nella foto di copertina del suo secondo disco Panamericana, assomiglia un po’ al riccioluto di Saranno Famosi. Non il programma italiano, ma lo storico telefilm ambientato a New York. Bruno, il pianista di origini italiani col padre tassista. Al di là di questa (buffa) somiglianza, il nome (praticamente) sconosciuto è da legare al duo dei Thievery Corporation di cui è stato bassista e che, con la loro etichetta Esl, gli hanno prodotto questo lavoro. Da loro ha mutuato quel sound “downbeat” così rilassante e coinvolgente. Il resto sta tutto nelle sue orgini argentine, nel tango, nel Sud America, nella chitarra. E’ un disco “pop”, che risente di vari influssi “panamericani”.
KINSKI/Down below it’s chaos
A portare un po’ di chitarre grattugiate in una cena a base di rock ruvido ci pensano i Kinski che si sono fatti le ossa come supporter di band quali Mission of Burma, Comets on Fire, Oneida, Mono, Acid Mothers Temple, Black Mountain e Tool. Chitarre dunque in primo piano, due. Poi basso e batteria. Muri del suono e geometrie euclidee da non spiegare molto, ma da ascoltare, soprattutto. E la voce? Per ben tre volte appare quella di Crish Martin. A voi la scoperta…
SWAYZAK/Some other country
A doverli definire per forza si finisce per non capire. Perciò diremo in generale “eclettici”, che da solo non vuol dire nulla. Allora aggiungiamo “elettronici”, e facciamo un passo avanti. Poi inseriamo “melodici” per voler dire che ci sono anche parti cantate che tracciano fili e profili vocali. Ancora: una base ritmica imponente ma non prepotente. Presente ma non volgare. Dance ma non solo dance. Tra le varie tracce spunta Silent Luv dei modenesi “Les Fauves”.
AA/VV. OFFICIAL MIX CD SUITE MUZIK
Per i suoi dieci anni La Suite si mette in bella mostra con Official Mixcd Suite Muzik. Ovvero i gioielli di famiglia selezionati, mixati e scratchati da Dj Double S, un nome e una storia nella scena italiana. Dentro, dunque, brani editi e inediti di Tsu, ATPC, Dj Fede, OneMic, Principe, FatFatCorFunk & Dj NessInfamous, Dj Koma, Jap, Palla & Lana, Raige e Zonta, Duplici.
E’ rap, è italiano, è bianco. Se ti piace lo ami, se non sopporti le rime in italiano, lo odi. Nessuna via di mezzo.
Universitinforma
La Tuberecords è una piccola e tenace etichetta di matrice prevalentamente punk. Le sue pand picchiano duro sugli strumenti e dal vivono danno il meglio di se. Anche se il genere in Italia non ha spazio nei media, nei sotterranei (e non solo) trova spazi per suonare.
“La tuberecords nasce dieci anni fa in un fumosissimo circolo “live” della provincia di varese” spiega Dario “Tube” che è uno dei fondatori dell’etichetta. “A quei tempi, continua, mi occupavo di varie cose per quel circolo e le Pornoriviste erano praticamente di casa li’. Una sera parlando è venuto fuori che stavano cercando qualcuno che gli producesse il cd. Per me era una sfida affascinante così, trovati due soci, abbiamo creato l’etichetta. Il nome nasce dal fatto che qualche mese prima ero stato a Londra ed ero rimasto affascinato dalla capillarita’ della sua metropolitana, The Tube. Mi piaceva pensare che i dischi che uscivano per la mia etichetta, malgrado l’intenzione di essere sempre un’etichetta indipendente e quindi destinata all'”underground”, sarebbero stati distribuiti con la capillarità con cui “the tube” serve i londinesi.”
In quanti ci lavorate?
“I miei due soci (Lorenzo e Luca) attualmente sono dediti soprattutto alle loro attivita’ (extra musicali) anche se all’occorrenza sono sempre presenti. La struttura è composta anche da Giuseppe che si occupa dell’ufficio stampa e da 4 collaboratori esterni che seguono il web, le grafiche, il merchandise e i concerti dal vivo. Ci accontentiamo di una vita di stenti e la passione
per la musica ad oggi è più forte del richiamo del denaro.”
Quanti dischi vendete?
“Troppo pochi per l’impegno che ci mettiamo e per la qualità che le nostre produzioni hanno raggiunto.”
Qual è il disco che avete venduto di più?
“Codice a Sbarre delle Pornoriviste”
Siete presenti all’estero come vendita e tour?
“Abbiamo una distribuzione in Spagna, una in Europa centrale e qualcosa nell’est europa. qualche band gira bene anche all’estero. Klasse Kriminale su tutti.”
Come scegliete le vostre band, e quali sono al momento quelle che compongono la vostra scuderia?
“In base alle emozioni che riescono a darci. soprattutto devono essere
convincenti dal vivo. Attualmente le band che componogono la scuderia sono:
Pornoriviste, Skruigners, Klasse kriminale, Sbirri, The jains, Bassistinti, Rappresaglia, Clark nova
Gerson, Jolarulo, IO?Drama.”
Che peso ha internet nel vostro business e in generale sulla vita di Tube?
“Molto peso a livello comunicativo. Poco peso da un punto di vista economico. A me personalmente non piace, ma il mondo va in quella direzione e quindi mi sono munito di 3 ragazzi giovani che mi passano le ore a girovagare nei meandri della rete a promuovere i nostri progetti o a ricercare informazioni utili all’attivita’. “
Come definiresti la vostra musica?
“Emozionale, emozionata, emozionante.”
Curate anche il booking dei vostri gruppi? Suonano all’estero e in Italia?
“Lo curiamo noi fino a quando non troviamo un’agenzia di booking interessata a prendere in mano il gruppo. A quel punto siamo ben lieti di affidare l’arduo compito a chi riteniamo meritevole di lavorare sulla band. La maggioranza dei concerti avviene lungo lo stivale anche se vi sono band come Klasse kriminale e Bassistinti che oltrepassano spesso e soprattutto volentieri i confini nazionali.”
Universitinforma
Cosa accade quando “il post punk incontra la pop culture”? Una risposta la da questa compilation, AAVV/New wave, when post punk met pop culture, compilata dai due Nouvelle Vague, Marc Collin e Gilles Leguen. Sono due dischi strepitosi, tutte cover fatte da protagonisti della newwave anni ’80. Per capirci: Devo che rifanno I can’t get no satisfaction, o Wating fot the man rifatta dalla Orchestral Manoeuvres. Il resto va scoperto, perché merita tanto e soprattutto renderà pace all’eterna lotta tra il “post punk” e la “pop culture”. www.district6.co.uk
Sempre per restare in tema di compilation, quella fatta dagli inglesi Hot Chip per la serie Dj Kiks non delude i fans del gruppo né quelli, appunto, della Dj Kiks. Dentro suona un frullato vitaminico di hip-hop, drum’n’bass, jazz, techno e tanti brani di autori interessanti.
Gli inglesi Stateless pubblicano il loro primo album omonimo con la !K7 di Berlino e unisco la melodia all’elettronica spennellandola di rock e pop. Il gusto è davvero sorprendente anche grazie alla voce del cantante Chris James che, notato da Dj Shadow, è stato “utilizzato” per alcuni suoi brani e per aprire la sua turnè insieme alla sua band. Qualcosa di nuovo, ogni tanto, fa proprio bene. www.myspace.com/stateless
Chiudiamo con un qualcosa di nostrano: i campani …A Toys Orchestra hanno pubblicato qualche mese fa il loro Thecnicolor Dream, dimostrano come stanno crescendo molto bene guardandosi indietro con atmosfere di rock onirico, con riferimenti psichedelici piacevolissimi da ascoltare e non solo. Continuano ad usare l’inglese con ottimi risultati, e la produzione di Dustin O’Halloran dei Devics da un buon contributo.
www.myspace.com/atoysorchestra
Carta
Time-Warp Seven è la consueta compilation, arrivata alla settima edizione, che immortala atmosfere e suoni del Time-Warp. Evento tedesco dedicato all’elettronica ogni anno esprime formazioni di tutto rispetto. Qui, il dj e produttore Loco Dice, cerca di mettere un po’ di ordine, in due cd e 31 brani. Il “file under” è elettronic-techno e in effetti, traccia dopo traccia, dj dopo dj, appaiono sempre più chiare le intenzioni, che però virano, a zig zag, verso cose anche ascoltabili ad orecchio nudo. Con bassi profondi e casse meno dritte nel primo disco, battuta verticale e ispirazione sintetica nel secondo. Qualche nome: Terre Thaemlitz, Pigon, Ripperton, Dani Koenig, Suburban Knights, Dan Curtin, Baby Ford, Plastikman. Link: www.karmadistribuzioni.it
Decisamente electro-house il disco che Robert Babicz (aka Rob Acid) fa uscire per Systematic. A Cheerful Temper presenta tutti i sintomi del caso: un beat spezzatto, suoi che vanno ad aggiungersi, armonie che si strizzano in pancia. E’ un po’ il genere del momento e se Babicz proviene da esperienze più estreme, ora è tutto concentrato nell’oggi. Ci riesce anche bene, basti ascoltare Chrystal castle o Warsaw. Da annotare qualche puntatita nella deep-house che non guasta.
Verso un utilizzo quasi esclusivamente dance muove Soulstickers di The Timewriter, pseudonomo di Jean F. Cochois. Dentro ci stanno cose più estreme come Zero, e cose con po’ più di cuore e anima come Flicking Page. Il lavoro nel complesso non è disdegnabile, ma forse un po’ troppo a senso unico.
Chiudiamo in relax con V.A.//Luxury (Lounge) Ibiza, compilation compilata dal dj svizzero Gianni N. Suoni morbidi, fiati, battiti lenti, tracce di jazz e molta voglia di starsene in relax. Non monotono, né ripetitivo
Carta – Cantieri sociali
Il nuovo dei Giardini di Mirò al cospetto del titolo, “Dividing Opinions”, unisce più che dividere. Unisce perché riesce a stupire per la schiettezza che diretta arriva traccia dopo traccia. Già dall’inizio, con un pezzo d’apertura che apre il palcoscenico delle altre tracce squarciando il silenzio e illuminando il cammino che sta per iniziare. Con una line-up diversa rispetto al passato e senza un cantante di “professione” (i chitarristi Jukka Reverberi e Corrado Nuccini si alternano alla voce) le canzoni prendo più forma, verso una stabilità insana, oscura, infarcita di innesti elettronici che, anche in questo caso, non dividono ma unisco, fungendo da collante alla matrice indie-rock di cui i nostri sono l’espressione più alta nello stivale tanto da essere apprezzati anche all’estero e da vedere al loro fianco alcuni autori stranieri collaborare per questo disco. La critica si è premurata di segnalare questo disco come quello della “svolta”, perché un è un vezzo (della critica) guardare sempre indietro a quello che un gruppo ha fatto e mai solo al presente e/o al futuro. Questo disco picchia duro, creando suggestioni cinematografiche e oniriche, rarefatti ricordi e future visioni, con un pizzico di melodia. Così i 42 minuti e 49 secondi e le nove tracce (di “romanticismo civile”) che li contengono filano via lasciando ferite piacevoli. E dal vivo, come sempre nella storia dei Giardini di Mirò, sarà un bel vedere e sentire. C’è da scommetterci…
Carta – Cantieri sociali
In apertura due segnalazioni di roba buona appena sfornata assolutamente Made in italy. La prima è Beatrice Antolini una piccola “selfwomen” che ha registrato il suo Big Saloon tutta da sola e in casa sua riuscendo a stupire per le atmosfere da musica per bambini che vogliono giocare e sognare. Una specie di Amelie alle prese con il suo favoloso mondo: pianoforte, computer, chitarra e quant’altro.
La seconda segnalazione è per Gozo48k, duo elettro-rock dal nome infelice dietro cui sta Luca Marrocco e Simone Pizzardo. Ma siccome è la sostanza che conta, il suono dei due ricorda per alcuni aspetti quello degli Smashing Pumpinks più intimi ed elettronici, qui in versione “moderna” e “slow-pop”. Entrambi, Beatrice Antolini e i Gozo48k cantano in inglese e sono prodotti dalla fiorentina Pippola Music. Link: myspace.com/beatriceantolini e myspace.com/gozo84k
Voltando pagina non può essere ignorato Score di Mattew Herbert (sempre lui!) che qui raccoglie le musiche create per il cinema. Ad esempio: La Delfi di Bianca Li e Vida Y Color di Santiago Tabernero sul dittatore Franco. Come al solito, il camaleontico Herbert riesce nel suo intento e il cd, anche senza aver visto i film e senza avere lo scorrere delle immagini, si assapora come se si fosse in una sala cinematografica. Link: herbert-score.com
Ultima segnalazione per Dj Jazzy Jeff che con The Return of the Magnificent mette assegno un bel colpo. Genere musicale: hip-hop. Niente di più e niente di meno. Di quello “black” per intenderci e infatti, a supporto, arriva qualcuno del giro come Method Man, Pos dei De la Soul e Rhymefest. Link: djjazzyjeff.com
Carta – Cantieri sociali