La prima tappa – dicono – è quella per il “desajuno”. La colazione bisogna farla qui, lungo la “carrettera”, da Tipico Bonao. Noi osserviamo in religioso silenzio le indicazioni. Come un dogma ordiniamo quello che ci viene consigliato: “Queso fritto y mangù con sebolla”. Il “queso frito” è un formaggio particolare che friggendolo non si squaglia e prende una fragranza ed un profumo incantevole. Il “mangù” è un purè di “pladano verde”, un bananone che va cucinato altrimenti è immangiabile. La “cebolla” è la cipolla.
Il “mangù con cebolla” e “queso fritto” è una accoppiata vincente. Un gusto delizioso. L’unico problema è che sono le 10 del mattino quando ci ingurgitiamo di questo particolare “desajuno”. La colazione viene arricchita con un succo di frutta del “frutto della passione” che qui chiamano “cinola”. Tutto il piacere che proviamo a fare colazione così lo sconteremo lungo la strada con un intenso bruciore di stomaco.
La “carrettera” è lì che ci aspetta e noi, dopo la sosta, ripartiamo. La nostra vera meta è la Svizzera dei Tropici. Così viene chiamata la parte montuosa della Repubblica Domenicana. Non potremo visitarla tutta, ci vorrebbero giorni. Poi, mentre guidiamo e osserviamo la pianura verde pian piano da lontano iniziano ad apparire le prime montagne, e così, lentamente, ci si avvicina.
Siamo già in salita, tutto è verde e pieno di profumi di montagna. Iniziamo a notare la vegetazione. Assolutamente tropicale. Fa un certo effetto vedere delle palme da cocco in montagna. Continuando ad osservare notiamo dei pini. Ci dicono che sono stati importati molti anni fa ed infatti il contrasto si nota. Le suggestioni continuano. La terra, la terra ad un certo punto cambia colore, diventa ferrosa. E’ rossastra. E poi fiori, piante, vegetazione sempre più fitta. Aria sempre più pura. Siamo in alto oramai. La seconda tappa è al salto di Himona. Qui, finalmente, ci hanno fatto anche una centrale elettrica che sfrutta la forza dell’acqua. Nella Repubblica Domenicana il 99,9% delle centrali elettriche sono a petrolio. Ci appare la natura nella sua bellezza. E’ qui che capiamo, ne avevamo in realtà avuto già sentore prima, che siamo nella Svizzera dei Tropici. E’ qui che prendiamo un viattolo a piedi e poi un ponticello traballante. La cascata ci appare rumorosa e rinfrescante. C’è chi fa il bagno.
Al “salto di Jaraboca”, invece, ci arriviamo a cavallo. Siamo partiti dal “rancho baiguate”. Circa 30 minuti a cavallo e poi 5 a piedi. Stesse emozioni, stessi profumi, stessi colori. La bellezza non stanca mai da queste parti. Keili ha undici anni e cavalca da quando ne ha otto. Suo fratello di anni ne ha quindici e con delle ciabatte monta su e inizia a scorazzare col suo “puro sangue”. Sono loro le nostre guide in quel di Jaraboca. Un po’ impacciati, un po’ incantati li seguiamo muoversi, ci arrampichiamo con loro su le rocce che costeggiano la cascata e sopratutto li guardiamo preoccupati al momento di scendere. Ci sorridono e ci indicano un viattolo, come premio per esserci fidati di loro, in quella breve ma faticosa salita. Da qui si vede maestoso il fiume e il principio della cascata. Da qui ci si riempie il cuore e la vista.