Catalinita: un angolo di paradiso nel mar dei Caraibi.
Repubblica Domenicana – E’ difficile trovare le parole adatte. Forse non ce ne sono. O forse semplicemente è inutile cercare le parole per descrivere la spiaggetta di Catilinita, circa 30 passi. Una mezza luna di sabbia bianca. Alle spalle il bosco. Di fronte il mare. Il mare dei Caraibi: limpido, immenso. Immobile. Acqua calda, bollente. Acqua bassa per circa 50 metri e forse più. La barca, Alessandro, la “parcheggia” di fianco. E’ troppo bassa l’acqua. Nella “nostra” spiaggetta ci arriviamo a piedi. Alessandro, il nostro capitano, il proprietario della barca che per circa 60 euro ci ha portato in questo paradiso è un toscano di quelli “veraci”, sornione, con un vocione toscano. Mani larghe che hanno lavorato e fisico resistente. E’ lui che si carica il grande frigorifero pieno di bevande. E’ lui che poco prima, circa un’ora, ha pescato quegli undici pesci che stanno sulla griglia. E’ lui che ci ha portati qui. In questo Paradiso.
E’ lui che ha l’aragosta per le mani e la poggia delicatamente su un tavolino improvvisato. Alza il bicchiere con rum invecchiato 15 anni: un ottimo Brugal. Ci guarda: parte il brindisi. Qui ci siamo arrivati verso l’ora di pranzo. Ma il tempo è andato via già da tempo. Da quando partiti abbiamo visto da lontano un grande temporale e in parte lo abbiamo sfiorato. Da quando andavamo forte con la barca (6 metri e due motori da 115cavalli) e ci siamo fermati all’improvviso. “Qui ci sono le stelle marine – afferma sorridente Alessandro – potete prenderle, toccarle, ma non portarle: è vietato”. Il tempo si è fermato da un po’, da quando siamo entrati a motore basso nelle mangrovie, luogo di riproduzione per uccelli e pesci. Luogo cinematografico. Lingue d’acqua che si incuneano in vegetazione. In quel “cespuglio” ci stanno i maschi di Fregate con quel pallone rosso che si gonfia in gola, segno di riconoscimento, segno che attrae la donna.
Il tempo è fermo mentre un piccolo barracuda sfiora la nostra barca. Alessandro è da poco risalito, qui la pesca non è andata bene. Alessandro non calca la mano. La natura va rispettata. E noi irrispettosi cerchiamo di fare il piano. E’ come la tromba di Miles Davis che suona, questo silenzio dentro le mangrovie è come Miles che ti suona vicino. Qualcosa vicino al silenzio, qualcosa vicino ad un nodo in gola. Poi usciti fuori ci dirigiamo verso Catalinita. Un atollo piccolo piccolo, al confine col atlantico. Ci fermiamo. E’ qui che bisogna pescare e dunque via all’improvviso l’aragosta e poi con più pazienza e devozione anche gli altri pesci: un dentice, un pesce luna, e altri. I nomi sfuggono. Qui rimangono solo le immagini. I nomi perdono di significato. Il tempo è già fermo in quel secondo che dura tutta una giornata. Da quando la pioggia ci ha colto nella “traversata”. E poi, e poi c’è quell’airone grigio che ci segue per un po’, si affianca mantenendo le distanze. Ci segue e poi. E poi va via perché qui i veri padroni forse sono loro. O loro o i pellicani. O semplicemente entrambi. Ci sono anche due grandi navi incagliate.
Alessandro dice che quando lui è arrivato qui ai Caraibi, circa 15 anni fa, erano già lì. Sono un punto di riferimento. Lì l’acqua è bassa e non bisogna passarci. Sono tra Saona e Catalinita. Saona è grande, imponente la vedi parallela alla costa mentre la percorri a tutta velocità. Il nostro punto di partenza è BayaHibe. Questo piccolo paesino che vive di turismo o meglio che sopravvive allo strapotere dei resort. Villagi turistici che verrebbe voglia di bruciare. Anche in questo paese il tempo è fermo. Le strade non asfaltate, le baracche di legno. I “colmado” con la gente d’avanti a bere una “cerveça” o un buon brugal. C’è anche la “pelucheria”. Una stanza quadrata che dà su una stradina impolverata come tutte.
E’ colorata e la scritta fuori è dipinta. Come ovunque del resto. Gente buffa nella pelucheria. Facce strane. Facce del luogo che sistemano l’immagine. Qui non avrebbe senso. E invece è sempre piena. Così BayaHibe vive tranquilla. Da qui si parte per andare a Saona e/o a Catalinita. Da qui tutto ha inizio, tutto ha fine. Una semplice giornata in barca può trasformarsi in qualcosa di unico, incredibile, onirico. Un sogno forse. O qualcosa di più perché non si riesce a sognare quasi mai qualcosa che non si è mai visto. E quella spiaggetta, con il pesce al cartoccio e una bruschetta improvvisata al sapor di limone non era mai entrata nei nostri sogni.
Da oggi forse avremo il piacere di addormentarci, sperando magari di ritornare. Magari, in sogno…